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mercoledì 1 giugno 2016



«Volevo scriverti, non per sapere come stai tu,
 ma per sapere come si sta senza di me.
 Io non sono mai stato senza di me e quindi non lo so. 

Vorrei sapere cosa si prova a non avere me che mi preoccupo di sapere se va tutto bene, 
a non sentirmi ridere,
 a non sentirmi canticchiare canzoni stupide, 
a non sentirmi parlare, 
a non sentirmi sbraitare quando mi arrabbio, 
a non avere me con cui sfogarsi per le cose che non vanno. 

Forse si sta meglio, o forse no.
 Però mi e venuto il dubbio e vorrei anche sapere se ogni tanto questo dubbio è venuto anche a te.
 Perché sai, 
io a volte me lo chiedo come si sta senza di te, 
poi però preferisco non rispondere che tanto va bene così. Ho addirittura dimenticato me stesso per poter ricordare te».

Soren Kierkegaard.

Spesso mi dimentico di pensare a me, erroneamente a volte credo di averne perso la stoffa di quella che sa pensare a se stessa.
Poi mi ritrovo, nei riti di miei gesti quotidiani, quelli più comuni, gesti che non gridano, che non hanno alcuna visibilità agli occhi degli altri.
Gesti che mettono cura in ciò che fanno,
in quello che toccano,
nei pensieri che sfiorano.
Li riesco a pensare a me, mi accetto, mi trovo perfino gradevole di tanto in tanto.
Li riesco a pensare a me e a  tutto ciò che porto nella bolla con me in modo assai più sereno.

Eppure penso che spesso si stia un gran bene 

Senza di me.

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