I testi di questo blog sono scritti da me medesima, mentre la dove fossero di Autori diversi la loro firma verrà sempre riportata. Se qualcuno dovesse riconoscere scritti di lavori altrui non adeguatamente segnalati può farlo notare e provvederò alla loro rimozione dopo essermi accertata dell'esatezza della segnalazione. Le immagini presenti sono mie o sono prese dal web, preferibilmente da: Picasa - Flickr - Deviantart, per i video musicali la fonte è You-tube.

martedì 31 maggio 2016

Un ricordo alla volta...

Ecco la performance conclusiva del laboratorio

 "La cenere e il fiore",
un progetto di Fierascena per la casa di Riposo "La Cjase" di Cormòns realizzato
 con il sostegno del Comune di Cormòns e diretto da Elisa Menon.

 Un percorso coraggioso, sperimentale, profondissimo.



 Questa tappa conclusiva è la restituzione di un viaggio forte,
dolce, sorprendente,
certamente impegnativo e altrettanto straordinario con i nonni della Cjase.




Abbiamo imparato tanto durnate questa esperienza,
visto, sentito, riso, pianto, riflettuto,
siamo stati in silenzio a volte, senza parole,
altre volte ci siamo raccontati a lungo e ci siamo ascoltati,
ma sopratutto siamo stati vicini, abbiamo avuto un tempo insieme, preziosissimo, e in questa breve performance proviamo a raccontarvelo.


Mercoledì 1 giugno
ore 16.00
Casa di riposo "La Cjase"
Viale Venezia Giulia 74
Cormons

Un grazie speciale a Liz Zanke per aver accolto e sostenuto "Fierascena" in questo bellissimo progetto.
Ingresso libero fino ad esaurimento posti disponibili.

venerdì 27 maggio 2016

Nascita di una Palombara...

"Famiglia"
Quale termine più avvolgente di questo.
Rifugio, conforto, confronto, unione.
Persino oggi se ne trova ancora qualcuna salda,
ben costruita su solidi pilastri di consapevolezza e altri vari ingredienti aime' indispensabili,
non da meno un certo spirito di sacrificio e una dedizione che va ben miscelata con un pizzico di egoismo,
 quello sano che ti permette di conservati uguale a te stesso, di mantenere una parte di te stesso per te stesso,
per poterla ritrovare sempre, succeda quel che succeda,
perché poter godere della famigliarità non vuol dire annientamento.
Famiglia un po la desideri, poi la scardini, la fai a pezzetti,
un po ne hai assoluto timore.

Memore di fallimenti e disillusioni passate, arrivate come il peggiore dei nubifragi che ti hanno scaraventato sul fondo del mare, anzi, di un oceano,
 un oceano di paura e disperazione inguaribili in cui non esistevano più i magnifici colori della barriera corallina, quelli che rapivano i tuoi occhi e in cantavano di stupore.


Già, perché sai bene Marianna che hai sempre avuto paura del mare, persino di riuscire a galleggiare, figuriamoci di finire sotto, così profondamente sotto,
sotto a quello che col tempo non è stato più un semplice mare ma è diventato insidioso oceano.

Sei diventata dunque un palombaro che sta sul fondo e ha imparato per necessita' di sopravvivenza, per allontanare il rischio di forme di dolore vecchie e nuove a camminare sul fondale delle cose, della vita, delle persone, di te stessa?.

Riemergi di tanto in tanto, riempi i polmoni di ossigeno,
fa così bene respirare,

 e poi inesorabilmente riaffondi giù, dove è il buio e il freddo,
perché sono dunque ancora così pesanti e resistenti i pesi di piombo appesi alla tua cintura!?.

Così per sconfiggere le tue peggiori paure ti insegnano che tutto è molto più semplice di quanto sembri complicato.

O forse tutto è più complicato di quanto sembri semplice?

Credo di non essere più in tempo per trovare risposte, certe, inconfutabili,
ammesso che nella vita esista qualche parametro inconfurabile.
Ma se un giorno mi accorgersi di aver trovato un abbozzo di risposta,
tra un respiro e l'altro,
mi ricorderò di prenderne nota,
appuntare tale risposta in un posto sicuro
in modo da non dimenticarla più.
Così forse arriverebbe il giorno in cui mi decidere i a slacciare e mettere da parte quella pesantissima cintura piombata che mi trattiene sul fondo.

giovedì 26 maggio 2016

Esiste il tempo,
Esiste il silenzio,
Esistono le distanze,
I mai più,
Esiste il buio,
Entro tutto ciò
ho trovato
la mia collocazione,
Esistono appartenenze
assolutamente mute
nei e oltre i silenzi,
nelle e oltre le distanze,
nel e oltre il buio,
nei e oltre i mai più,
io abito li
anche se nessuno lo sa,
nessuno lo saprà mai,
tu non lo sai.

martedì 24 maggio 2016

Tutto aperto, io chiusa...

Domenica ho voluto provare a visitare "La viarte",
non è proprio una sagra,
 ma una specie di festa di paese che da anni si svolge nel paese di Cormons.
Da tantissimo tempo ne sentivo parlare in modo entusiasta dalle persone dei paesi limitrofi e ovviamente dagli abitanti di Cormons in primis.
Ogni anno, da più di dieci anni, si svolge sempre la penultima domenica di maggio.
Abito qua da settembre dell'anno scorso, unica condizione che mi ha spinto a dare un'occhiata.
Vi è tutto un percorso a tappe da seguire che dalla piazza del Comune porta sul sentiero Cret Paradis che sale, sale, sale, sino a raggiungere la cima del monte Quarin e la Rocca, mi sembrava un contesto carino.
In tutto mi pare otto o dieci tappe, non lo so con esattezza perché la mia voglia di completare il percorso si esaurita decisamente in fretta, penso che nel giro di un'ora la mia curiosità era già stata esaurita del tutto.

 Il termine viarte in friulano significa apertura in particolare si vuole dare il benvenuto alla primavera, ma soprattutto rappresenta la caratteristica tipica della festa.
 Infatti, le case private in quel giorno aprono i loro cortili offrendo ai visitatori cibo tipico friulano, vino e bevande.
L'idea di questa apertura mi dava la sensazione di un momento di "accoglienza" proprio per il fatto che una casa privata e i suoi cortili vengono aperti per un momento di condivisione e di incontro.
Beh, mi sono ricreduta in men che non si dica.

Non ho trovato nulla nell'atmosfera che mi desse l'impressione di essere accolta, un senso di fastidio e di refrattarietà dentro di me mi hanno assalito subito dopo aver dato le spalle al vecchio Palazzo Comunale, ancora prima di raggiungere l'imbocco del sentiero verso la ripida salita.
Accodata ad una marea di altre persone, questo prevedeva il tragitto, come una specie di mandria di buoi, che dovevano raggiungere la cima, li trovare la malga e iniziare a ruminare qualunque cosa stesse in bocca.
I soliti discorsi, che la troppa vicinanza di troppe persone ti impedisce di non sentire.
Gente ovunque, troppa, troppo rumorosa, musiche a tutto volume, nei vari cortili aperti, che si sovrapponevano le une alle altre e nonostante questo non riuscivano a coprire il brusio frastornante delle persone.

Diciamo che dopo i primi metri avevo già voglia di tornare a casa, ero assolutamente fuori posto, non a mio agio.
In questi anni ho avuto la possibilità di visitare molte sagre, in vari paesi e paesetti, è capitato di prendere qualche cantonata di tanto in tanto, ma solitamente, specialmente quelle nei territori più interni, in paesini più piccoli, che creano meno richiamo, ti danno veramente la sensazione di cordialità, modi di fare, modi di vita e sapori che sanno ancora delle cose buone di tanto tempo fa.
Ad un certo punto, credo che il colpo di grazia e il conato di vomito definitivo, me lo abbia dato una giovane mamma, sicuramente un donna di almeno una quindicina di anni più giovane di me, con la bimba, che non avrà avuto più di quattro anni.
La bimba era decisamente accaldata, stanca per la ripida salita e sicuramente affamata.
La mamma per spronarla e incoraggiarla ha saputo dirle delle cose, a mio avviso, spaventose e assolutamente fuori luogo, con un tono fastidioso, privo di qualunque tipo di comprensione e pazienza, soprattutto da dire a una bimba così piccola:
-Dai, dai, su, camminare e poche storie, vedrai quando sarai grande, cosa ti credi di trovare nella vita, solo salite e tutte belle ripide, allora capirai quanta fatica dovrai fare-
Ma porca miseria, perché in una giornata che dovrebbe essere piacevole una madre deve far vivere quel momento ad una bimba piccola come qualcosa che ha a che fare con lo spirito di sacrificio, con la fatica, con il senso di una difficoltà difficile da superare...?

L'avrei picchiata, veramente, l'istinto in quel preciso istante sarebbe stato quello di tirarle prima un bel colpo sul collo, visto che camminava davanti a me, e subito dopo un pugno in bocca con l'intento di farla tacere.
La vita, impariamo ben presto da soli, che è dura, ci disillude, si fatica, si lotta, si sbaglia, di tanto in tanto, ma sempre troppo raramente, si combina qualcosa di giusto e buono e probabilmente non durerà in eterno,
e da sola contribuisce a far nascere dentro di noi una buona dose di schifo e scazzo,
stanchezza e avvilimento.
Credo per questo che il compito di un genitore non è certo quello di nascondere la verità ai figli raccontando solo i lieti fini delle fiabe,
ma non è per contro nemmeno quello di far maturare in loro ansie e paure generando prematuri atteggiamenti di chiusura e fuga.

A quel punto ne avevo già abbastanza di quel posto, della gente, del fracasso, di tutto insomma,
avevo bisogno della mia bolla, la mia fidata bolla nella quale rannicchiarmi e sentirmi lontana dal tutto che non voglio,
ho compreso rapidamente che era il momento di tornare a casa,
 un secondo in più sarebbe stato fatale per il mio equilibrio che già di suo è scarso.
Così ho fatto e per fortuna.
Capitolo Viarte chiuso e archiviato,
a mai più.


venerdì 20 maggio 2016

Dorothea Lange diceva che
la macchina fotografica
insegna alle persone
come vedere le cose
senza la macchina.

Per me
 da quando ho avuto la prima,
una Pentax,
 e poi le altre a seguire,
la macchina fotografica
è stata un mezzo
ispirativo, estasiante,
la paragono
a sensazioni che sanno di
meditativo,
 mi ha permesso di vedere il mondo
 nel modo in cui piace a me,
un modo del quale avevo bisogno
e tanto ne avrei ancora,
quello che mi fa bene,
mi rasserena,
mi rassicura,
qualche volta ho visto e colto
 l'anima di qualcuno che
 era con me,
è un dono non da poco,
e poi
le luci, le ombre nell'essenza
più vera delle cose,
gioia,
stanchezza,
ho fermato in fotogrammi di tempo
anche la malattia,
giornate limpide
e temporali.
Di tanto in tanto
ancora qualcosa
riconosco e vedo
osservo la dentro,
mi assento al suo interno,
eppur
non mi sento,
sempre più spesso
non più.

mercoledì 18 maggio 2016

Inesorabile...

Era il 18 maggio del 1968.
Un sabato mattina, le otto meno cinque minuti,
 una giovane donna di vent'anni appena,
 un reparto di ostetricia,
 una frugoletta di due chili e seicento grammi appena,
 tutta capelli mi fù raccontato.

Quasi mezzo secolo dunque,
quante pagine di racconti nel mezzo,
quanto di dimenticato perché non meritava di essere ricordato
 quanto ancora di un passato recente così presente.

Anni che sono passati con catene resistenti attaccate a muri spessi,
chiusa dietro ringhiere e alti cancelli,
nei vari tentativi di fuga verso la libertà
ancora i segni mal curati
lasciati dalle punte taglienti.
Per un attimo poi,
finalmente ti eri trovata,
ti eri espressa,
avevi vissuto,
così avevi creduto,
ma solo per un fugace attimo...

                                                     Ora è come se  desideri esauditi
                                                          si fossero trasformati in
                                                              desideri esauriti.

Eppure oggi, per qualche strano motivo,
questa giornata ha voluto essere clemente con me,
 rifuggendo da tutto e da tutti,
 in pace per una volta con me stessa,
so che non durerà.

sabato 14 maggio 2016

15 Maggio 1982

Eccoci di nuovo, come tutti gli anni da trentaquattro anni a questa parte.
Il giorno della memoria e del ricordo.
Non è che di solito non ti penso e non ti parlo, ma sai bene quanto questa giornata sia particolare ogni volta.
Stamattina puntuale come un orologio svizzero ricevo la telefonata di mamma che mi dice di essere "incazzata nera" perché era a farti visita e ha trovato di nuovo il vaso privo dei fiori di plastica nuovi che ti aveva messo appena a  Pasqua, dice che nell'ultimo anno li hanno rubati per ben 4 volte,
le ho consigliato di non metterne più, oltretutto tu odiavi i fiori, sia veri che finti,
me lo ricordo ancora che dicevi sempre:- quando muoio niente fiori di nessun tipo e niente corone, fate opere di bene piuttosto-.
A dire la verità anche io non ho mai rispettato sino in fondo questo tuo desiderio visto che quando passo a farti visita una rosa te la lascio sempre, spero che non me ne vorrai per questo.
Mi dispiace perché ci siamo visti l'ultima volta il mese di aprile dell'anno scorso.
 So bene che te ed io possiamo stare insieme nei nostri pensieri ogni qual volta lo desideriamo, ma sapere che esiste un posto dove so che tu stai ha un non so ché di consolatorio, è come se ti potessi toccare,
non sono più riuscita a tornare a Genova da allora, sai bene, purtroppo, di tutti gli avvenimenti accaduti, so che sicuramente sarai dispiaciuto per quelli tristi e dolorosi che sono stati intensi e indimenticabili e mi perdonerai per questa lunga assenza che è stata solo fisica,
ma a Luglio sarò a casa per quasi una intera settimana e non mancherò di passare un po' di tempo con te, puoi starne certo.
Te ne partisti per l'altrove il 15 maggio del 1982, erano le due del mattino.
Camera mia nelle ultime settimane, in attesa della ormai vicina disfatta della quale tutti eravamo purtroppo consapevoli, era sempre occupata da qualche parente che si fermava da noi per non lasciare da sole me e  mamma.
Io in quel periodo dormivo in salotto, in uno dei tipici mobile-letto ribaltabili che usavano tanto in quegli anni, ai lati del letto una fitta libreria, adoravi leggere, eri praticamente un autodidatta, non c'era cosa che non sapessi e di ciò che non sapevi ti informavi sempre curioso e proiettato verso la crescita che il sapere e l'informazione possono offrire.
Credo di avere ereditato proprio da te alcuni di quei geni positivi, anche se, aimè non tutti.
Le ultime letture alle quali ti eri dedicato, non certo per piacere, furono quelle della Enciclopedia medica sulla salute.
Nessuno ti voleva dire che cosa tu avessi, quale male o bestia misteriosa ti stesse consumando nutrendosi di te, così ti cercasti le informazioni da solo anche perchè la storia dell'ulcera duodenale degenerata proprio non te la eri bevuta, così come non era stato possibile farmelo credere a me nonostante i miei soli 14 anni.
Drammatica per me fu la scoperta quando un giorno di nascosto ascoltai mamma che parlava piano al telefono, quasi sussurrando, con qualche parente della Calabria:- Pippo ha un tumore, lo hanno aperto e ricucito, non si poteva far niente, non gli resta molto-
Un brivido carico di un gelo che già pareva venire dall'oltretomba mi invase lungo tutto il corpo, il cuore batteva come non lo avevo mai sentito, appena udite quelle parole le avevo immediatamente collegate all'evento della morte, un colpo, come se qualcuno mi avesse tirato un pugno nel petto.
Era una sensazione che ancora non sapevo avrei sentito altre volte nel corso della vita, era la paura.
Mi allontanai chiudendomi in camera per timore che lei mi vedesse e si sentisse "smascherata".
Non parlai, non dissi nulla, feci finta di non sapere, di non essermi accorta, ma nessuno ha mai pensato al perché non chiedessi mai di te e dei motivi per cui tu stessi cambiando così rapidamente.
E' particolare e stranissima la percezione del tempo che ho di quei periodi, tutto sembrava scorrere ad una velocità elevatissima e al contempo le giornate, durante le quali gli occhi si dilaniavano, alla vista di quella tua metamorfosi implacabile e così crudele, parevano non finire mai.
Non mi ricordo se pensavamo al domani, da un certo momento in poi non so se era più intensa la paura che il domani non arrivasse o la speranza di un successivo domani.
Già la speranza...
La paragono oggi  ad un accanimento terapeutico nei confronti della nostra anima, per tenerla in vita il più possibile, in realtà prolunga solo i nostri tormenti e non ci fa guarire, non ci salva...
Oh certo, ho sperato, ho pregato, ho implorato, ho pianto,
mi ripetevo che Dio o chi per Lui non poteva farmi una cosa del genere,
non poteva farla a te...

Ma nessuna correzione era prevista per quel copione che andò avanti sino ai titoli di coda con la scritta "The End".
Quella sera, quell'ultima sera, il copione tracciava per noi due la scritta indelebile di un momento tanto drammatico quanto indimenticabile e indissolubile l'uno per l'altra.
Mamma insisteva perché io andassi a letto, il giorno dopo la scuola mi aspettava, non so per quale strano motivo ma, io sentivo che il giorno dopo a scuola non sarei andata.
Avevo ragione io.
Dovetti comunque sottostare alle richieste di mamma,:-dai, saluta Papà e vai a dormire-.
Ero già seduta vicino a te, a fianco del letto.
Ormai da quattro giorni eri stato rapito da una specie di strano coma, non sentivi, non parlavi, non vedevi noi che ti stavamo attorno, stavi però giorno e notte con gli occhi aperti, sbarrati verso il soffitto bianco, le braccia sempre alzate con le mani in un movimento perpetuo come a tentar ti toccare chissà che o forse chissà chi...
Ti chiamai, due o tre volte credo:-Papà, Papà, mi senti, volevo salutarti, vado a letto che domani ho scuola!?-
Parve a tutti impossibile, restarono tutti attoniti.
Per un attimo ti fermasti, le tue braccia si abbassarono per la prima volta dopo giorni, voltasti il viso in direzione della mia voce, era evidente che non ci vedevi, tentasti di allungare una mano per trovare il mio volto seguendo la direzione della voce, con il viso cercai l'incontro con la tua mano che annaspava cercando ciò che gli occhi non potevano vedere.
Una carezza la tua, l'ultima, la più coraggiosa, la più amorevole.
Il magone mi stringeva la gola quasi a non farmi respirare, ma non volevo che scendesse una lacrima, non in quel momento, non davanti a tutti, non davanti a te.
Oggi sono convinta che, in quel momento, quella sera, entrambi già sapevamo che sarebbe stato il nostro ultimo momento di condivisione, il nostro ultimo "qui e ora".
Ricordo che stentai a prendere sonno.
Ad un certo punto della notte voci di sottofondo e le luci accese in corridoio mi svegliarono.
Fu terribile.
-Dobbiamo vestirlo finchè è caldo e prima che la bambina si svegli-.
Di nuovo quella sensazione,  quel brivido carico di un gelo che veniva dall'oltretomba mi invase lungo tutto il corpo, il cuore batteva come non lo avevo mai sentito, appena udite quelle parole le avevo immediatamente collegate all'evento della morte, un colpo, come se qualcuno mi avesse tirato un pugno nel petto.
Era di nuovo lei, la paura.
Avevo compreso cosa fosse e compreso che altre volte l'avrei provata nel corso della vita.
E così è stato.
Partisti per l'altrove il 15 maggio del 1982, erano le due del mattino.
Ti ringrazio per i ricordi che mi hai lasciato, per le carezze e per le parole che sempre hanno avuto di carezze la delicatezza,
ma in particolare ti ringrazio per quell'ultima carezza che è stato il tuo modo per dirmi che non ci saremmo visti più ma che per sempre avresti vegliato su di me.
Non volermene se a Luglio ti porterò un fiore.
Grazie Papà.





giovedì 12 maggio 2016

Is there anybody out there?

C'è qualcuno la fuori?

"hey tu! Mi aiuteresti a portare questo masso?
apri il tuo cuore, sto tornando a casa
ma era solo fantasia
il muro era troppo altro, come puoi vedere
non ha importanza quanto ci avessi provato,
non sono riuscita a liberarmi 
e i vermi rosicchiavano la sua mente.
hey tu! Là fuori nella strada,
che fai sempre quello che ti viene detto,
puoi aiutarmi?
hey tu! Là fuori dietro il muro
che rompi bottiglie nel vicolo,
puoi aiutarmi?
hey tu! Non dirmi che non c’è più alcuna speranza, 
insieme si resiste,


divisi si cade."

mercoledì 11 maggio 2016

                                     Avere
                 l’esatta percezione di chi sei
                      e di quello che va fatto,
                     chiunque l’abbia provato
                       ne sente la mancanza.
                            (Gannicus 3-9)
                Da "Spartacus blood and sand".
È lecito tentare di
trasformare una lunga serie
di circostanze
sfavorevoli
in Vantaggio?

È lecito
tentare di trasformare
il dolore
per salire
al livello successivo?

Ogni uno trova
il modo di
sopravvivere .

martedì 10 maggio 2016

Ci sono notti che
hanno un ticchettio stranissimo,
senza regole,
spesso il velo nero
della notte non è
così sottile come noi lo vorremmo.
Così ti racconti
quella fiaba,
torni ad essere
come quella bimba spaventata
che tanto coraggio si faceva.
Rivedi le fate,
boschi incantati,
non ci sono forse ne principi,
ne cavalieri,
ma immense distese e
paesaggi meravigliosi,
mondi sconosciuti,
tutti da scoprire,
ricchi di colori,
monti e fiori,
bagliori di madre perla
e alabastro
ad accecare i cuori.
Ci sono sempre le fate
pronte tutto a trasformare,
draghi e cattivi
non saranno sconfitti,
ma capiranno di dover andare via
si sentiranno loro
per una volta
afflitti.
È la fiaba
che tengo sul comodino,
per ogni esigenza
 di cuore adulto
o bambino,
una pagina che è senza fine,
un libro che non finisce
e nella libreria
una volta richiusa la copertina
non svanisce.
Che importa poi
se domani
la fuori c'è di nuovo la vita reale
e dovrò correre
e sgobbare,
fuori da questa camera da letto
dove posso tutto trasformare
in quello ancora non scritto,
non letto,
in tutto il non detto.
Rimani lì
favola mia
custodita tra queste
quattro mura
che oltre te
racchiudono il mio
coraggio e
la salvezza mia...



lunedì 9 maggio 2016

E ti vengo a trovare...

                                                                Oggi Matajur,
                                                 Credo che mancavo da circa un anno.
                                          Un giro ad anello partendo dal Rifugio Pelizzo
                                          da percorrere agevolmente, una pendenza costante
                                                                ma mai aggressiva.
Gli ho fatto visita più volte
ma mi fa sempre piacere tornare,
da lui,
 si,
posso dire che ormai è un posto che conosco abbastanza bene,
una escursione che seppur semplice
funziona sempre come buon allenamento.
                                        Sicuramente quando si dice escursione adatta a tutti
                                             e si parla di Prealpi Friulane il Monte Matajur,
                                          con i suoi 1640 mt, non può e non deve mancare
Per essere quasi la metà di maggio meno fioriture rispetto agli anni scorsi,

ma del resto la neve gli ha fatto visita sino a poche settimane fa,

solo negli ultimi giorni si è sciolto l'ultimo cappello di neve che le ultime nevicate di aprile avevano lasciato sulla sua cima
a forma inconfondibile di piramide.





Sempre stupendi i crocchi e i bucaneve che chissà se veramente segnano la fine dell'inverno...
Vederli vivi di colori venir fuori
dall'erba bruciata e stanca dal freddo e dal gelo invernale
mi fa sempre un certo effetto...

Eppure loro resistono e rinascono ogni anno,
puntuali,
loro sanno quando è il loro momento,
loro sono al posto giusto nel momento giusto,
magari lo stesso sapessimo fare noi,
sapessi fare
io...






Ogni volta mi soffermo qui a fare il ripasso delle cime
piano piano le imparo...




Quanti desideri rimasti in sospeso,
forse abbandonati
ma mi piace immaginare che mi sto preparando

e prima o poi chissà,
magari, forse,
una di quelle cime tracciate
là...






Sarà davvero l'ultima neve di primavera...?

Per quest'anno quasi sicuramente si.











                        Il rientro verso la macchina accompagnato dalle prime gocce di pioggia
che il mio viso ha accolto
come fosse stata acqua benedetta...