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sabato 18 marzo 2017

Vite dentro.

Circa un mese fa vengo contattata via mail dalla educatrice professionale Lisa Zanchettin, che lavora in campo geriatrico presso la struttura per anziani nella quale lavoro anche io.
Nel 2016 sono state portate a termine tante iniziative interessanti, compreso un percorso di Teatro sociale per gli anziani ospiti della Cjase, questo il nome della nostra struttura, "La cenere e il fiore" il titolo della rappresentazione Teatrale.
L'accento posto soprattutto sui gesti, sugli sguardi, espressioni, abilità e ricordi della storia della nostra comunità di tempi ormai passati.
La finalità era quella di compiere un percorso che aiutasse a potenziare le abilità dei partecipanti, aprire le finestre dei ricordi e condividere con loro le manifestazioni emotive espresse.
E' stato bellissimo.
Nella sua mail Lisa mi rende noto che una casa editrice ha indetto un concorso fotografico dedicato alle case di riposo per anziani dal titolo "Le Vite Dentro", lei sarebbe interessata a partecipare, vincono le prime tre foto scelte, e conoscendo la mia passione pe la fotografia mi chiede se mi andrebbe di condividere con lei questa esperienza.
Ovviamente ho accettato esprimendole un minimo di preoccupazione in tal senso.
Mi sono scattate in testa le solite domande "sarò in grado",
 "con queste foto noi tentiamo di raccontare una storia, io che quasi sempre fermo l'immagine di natura e montagne, riuscirò a entrare profondamente dentro l'obiettivo della macchina fotografica così profondamente da diventare parte di loro e non sterile acchiappa immagini."
In passato credo di essere riuscire a cogliere, leggere, espressioni anche di un anima che va oltre il semplice scatto per piacere.
Quando fotografo spesso compongo pensieri, c'è un sentire, moti di ispirazione, a volte mi sono anche commossa scattando fotografie.
Però l'idea di mettermi alla prova e capire quanto sono in grado di andare oltre con gli occhi, con un click, con l'anima, mi ha permesso di mettere da parte le mie paure e far esplodere la voglia di dedicarmi a questo progetto.
Nel caso venissimo scelte, le foto vanno inviate entro il 20 Marzo, alla foto spetta la copertina del prossimo numero della rivista in uscita e alla Casa di Riposo materiale didattico e di laboratorio da usare durante i momenti di animazione.

Il 15 Febbraio, approfittando che ero a riposo dopo lo smonto notte dai turni di lavoro, abbiamo deciso di incontrarci e iniziare a fare un pò di scatti.
 Ovviamente ho dedicato ore del mio tempo libero a questa iniziativa, ed è una cosa che mi ha appagato profondamente, non avere altro fine se non quello della partecipazione e non cercarne un ritorno.
Il primo giorno ero quasi impaurita, l'idea dei miei limiti mi faceva tremare le mani, sentivo il cuore in gola, come se stessi andando ad un primo appuntamento, ed in un certo senso lo era.
Così, per riscaldarmi un pò e ritrovare una sensazione di tranquillità, prima di salire ai piani, decido di fare qualche scatto fuori, era una bellissima giornata di febbraio, un cielo terso, il sole caldo, tutto appariva avvolgente e invogliante.
Una volta pronta mi sono recata in sala animazione, Lisa mi aspettava col l'avvolgente sorriso di sempre.
I nonni erano tutti incuriositi dalla macchina fotografica che avevo appena tirato fuori dalla sua borsa.
Alcuni non hanno avuto nessun problema nel dirmi "Me ne fai una anche a me" e si mettevano in posa divertiti.
Poi, dopo i primi scatti, è successa una cosa curiosa.
Nessuno più si metteva in posa, avevano capito che ci sarebbe stato spazio per tutti in questo racconto che volevamo fare.
Nessuna posa studiata, tutto è diventato naturale e spontaneo, anche il mio aggirarmi tra di loro, dedicando ora un sorriso, ora una parola o una carezza tra uno scatto e l'altro.
Ognuno impegnato dalla sua attività che il laboratorio di quella mattina aveva in programma.
Quindi era Mercoledì,
 c'erano le parrucchiere,
 la cura del se, la manicure,
 chi leggeva un giornale in attesa del suo turno, per ricreare l'atmosfera delle cose normali che si facevano quando la loro Vita non era una vita "dentro" ma la potevano vivere fuori.


Chi ti raccontava, come nonna Iolanda, la storia di quell'anello, che non toglie mai dal dito, tenuto insieme alla fede nuziale, anche quella di lui che non c'è più, dalla quale Anita non si separa mai.
E ancora col magone, oggi che ha 95 anni, ti dice che sono stati insieme 75 anni.
Oppure ci sono quelle come la severa Dorotea, un po' severe e scontrose, ma solo in apparenza, esigente però, tanto ci teneva alla cura della sua persona da giovane quanto ci tiene adesso...
E noi che cerchiamo di accontentarla e qualche volta sopportarla benevolmente.
Il momento del caffè poi, quello non può mancare mai, ogni mattina alle 10 in punto è come l'appuntamento al Bar. Insomma, c'era spontaneità, naturalezza, da un certo punto in poi eravamo come un tutt'uno, tutti parte del tutto.

Ma questa è solo una parte della realtà che, sia noi che loro, viviamo quotidianamente in una struttura come questa.
Questa è la parte più bella e conviviale che vivono coloro che sono ancora autosufficienti o parzialmente tali. Un modo di dire parla del "bastone della vecchiaia" che di solito riferiamo ad una persona dicendole "sarai il bastone della mia vecchiaia", ad alcuni di loro resta solo quello, ma l'importante è che in qualche modo li porta avanti...
Oltre le pareti di questa sala
ci sono i reparti di ricovero, ci sono le persone che soffrono di patologie gravi,
che ti parlano solo con uno sguardo che il più delle volte è implorante o triste.
C'è la realtà di chi vive allettato e cerchiamo di far sentire il meno solo possibile, ma non è facile.



 Ci sono coloro che ancora qualcosa potrebbero fare per mantenere le loro autonomie residue, ma, si isolano e si lasciano andare vivendo di dispiacere perché i figli li hanno accompagnati qua e dopo visite fugaci del primo periodo si sono dileguati. Tornano veloci per dare quel bacio frettoloso a Natale, Pasqua o per il giorno della festa della mamma o del papà, ma per il resto dicono "sai, ho tanto da fare".
Poi c'è chi come Giuseppe sente tanto la mancanza della moglie, anche loro da 70'anni insieme. Lei, che ha più di 80'anni ,vive ancora a casa da sola, ma non aveva più le forze per badare anche lui, per sostenerlo adeguatamente in tutto ciò di cui aveva bisogno, così si sono dovuti separare, ma lei nonostante il cuore malandato ogni pomeriggio viene a trovarlo, chiacchierano, guardano la tv insieme, si tengono la mano, già, si tengono ancora la mano. 
E' stata per me un'esperienza intensa, travolgente.
Sono felice di aver potuto aiutare Lisa in questa forma di espressione.
Il dono più grande è stato, dopo che lei ha visionato tutte le foto (ne ho scattate circa 700 in due mezze giornate), sentirmi dire:
"sei riuscita a raccontare la storia che desideravo, grazie Marianna".
E io sono grata a lei per avermi permesso di fare questa esperienza che mi ha sicuramente arricchito,
 mi ha dato modo di esprimermi nel modo che forse mi riesce meglio,
entrando dentro al mio terzo occhio, quello più vero, che mi fa vedere e sentire oltre,
quello dell'obiettivo della mia macchina fotografica. Non so se una delle foto che invieremo al concorso meriteranno quella copertina, ma ho vinto lo stesso.
Sai, tra le colline di Cormons, sotto il Monte Quarin e la vecchia Rocca che sembra una vedetta,
c'è un posto che non è un semplice posto,
ci sono vite dentro, e noi, che rappresentiamo la vita che viene da fuori, ogni giorno proviamo a raccontare loro che il cielo è ancora azzurro.
Questa esperienza ha fatto maturare in me il pensiero che il passare del tempo è
 spesso crudele e inesorabile,
 ma, allo stesso tempo
 irresistibile.








   

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